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Takunda, primo bimbo nato sano da madre con hiv in Africa. I progetti di solidarietà del Cesvi


«Ho saputo la mia storia da mia madre a 16 anni. Mi ha raccontato del programma sanitario in cui fu coinvolta e come andarono le cose. Ero felice, perché ho capito che mi avevano aiutato per sempre, che mi avevano dato una possibilità»: Takunda spiega con poche parole la sua vita. Ma in quelle poche frasi c’è tutta la consapevolezza di quanto grande sia stata la sua fortuna, come cube il suo stesso nome, che significa “Abbiamo vinto”. Takunda è il primo bambino nato in Zimbabwe, forse nell’intera Africa, sano da una madre con Hiv.

Grazie al Cesvi, che nel 2001 ha dato vita a un progetto di lotta contro Hiv e Aids dedicato alle madri in attesa e che mirava appunto a evitare la propagazione del contagio al neonato. Poi, negli anni, Cesvi ha deciso di continuare a seguire Takunda, di supportarlo negli studi, e oggi quel bimbo è diventato a sua volta un educatore, che lavora per salvare gli altri bambini di strada di questa parte di Africa.

Emergenza Aids

«L’epidemia di Aids che c’period in Zimbabwe agli inizi degli Anni Duemila portava migliaia di morti, una donna su tre period sieropositiva. Cesvi ha deciso di introdurre una profilassi di un farmaco antiretrovirale da somministrare alla madre prima del parto e al neonato entro 72 ore. Safina, la madre di Takuna, aveva già perso un bimbo, period sieropositiva e decise di sottoporsi a questa terapia sperimentale. Sei mesi dopo la nascita abbiamo avuto la conferma che Takuna period sano»: Roberto Vignola, vicedirettore del Cesvi, spiega così il lungo percorso di aiuti realizzato in Zimbabwe dall’associazione.

«Qualche anno dopo, nel 2010 – prosegue Vignola – abbiamo creato le Case del Sorriso per dare ospitalità ai bimbi di strada, che avevano perso i genitori per l’Aids. Centri diurni per aiutarli, farli giocare, studiare, sostenerli. All’inizio questa terapia sperimentale aveva successo soltanto a volte, quando nel 2018 abbiamo lasciato il programma in mano alle autorità locali, poiché questo è l’intento di Cesvi, il 99,4% dei bambini nascevano sani».


Takunda da bambino con sua madre Safina

 

Lo stigma sociale

«Le persone malate di Hiv non lo dicono perché c’è un grave stigma sociale – racconta Takunda – Ora va meglio, qualcuno lo cube perché capisce la gravità del problema. Io ho ricevuto molto, lo riconosco, e per questo voglio restituire. Conosco i problemi di chi è malato, cosa prova, io stesso ho ricevuto aiuto e so come ci si sente. Anche mia madre ora sta bene: lavora come infermiera, cerco di vederla spesso».

La strategia di Cesvi: aiutare e poi lasciare spazio

«Lo Zimbabwe è un Paese con grandi difficoltà, è semifallito, ha una immensa crisi economica. Il problema con i bambini di strada continua – racconta ancora Vignola – Ma il nostro obiettivo è creare percorsi per l’autonomia di queste popolazioni. Come un progetto imprenditoriale avviato una decina di anni fa per la coltivazione delle arance nel Sud: abbiamo creato i contatti commerciali per far sì che la popolazione avesse contratti pluriennali, per avere una certezza delle commesse, e ora la situazione per moltissime famiglie è cambiata drasticamente in meglio. Hanno un reddito, possono avere qualche animale, per esempio, che costituisce in quei luoghi una ricchezza. Sono persone che amano il proprio Paese, che non vogliono diventare migranti diretti in Sudafrica».

Il taglio degli aiuti internazionali

La situazione però rischia di fare notevoli passi indietro: «Con il taglio degli aiuti internazionali dagli Usa ci sono grandi difficoltà. Siamo preoccupati. Il sistema sanitario di molti Paesi africani è interamente finanziato dall’esterno. La comunità internazionale si deve occupare di questo, delle pandemie che sono alle porte di casa nostra. Bisogna che la sanità anche di questi Paesi lontani sia una priorità, perché soltanto con lo sviluppo si può arrivare alla vera tempo in queste aree. Ma con il crollo degli aiuti delle istituzioni, anche il singolo può fare qualcosa».

Cosa fa Takunda oggi

«Ho studiato e con il mio lavoro – racconta oggi Takunda, a 24 anni – vorrei occuparmi della protezione dei bambini: ora sto lavorando come assistente e vorrei continuare a collaborare con le Case del Sorriso, per aiutare i bimbi che vivono in strada, seguirli nel loro percorso, nei loro studi. Vorrei soltanto restituire».

Cesvi nel mondo

Cesvi opera nei vari continenti per dare aiuto alle popolazioni in difficoltà. «Dall’inizio del conflitto siamo in Ucraina per supporto psicologico, aiuti ospedalieri e sminamento – fa sapere Vignola – Siamo a Gaza per portare l’acqua e occuparci dei sistema fognario, in Libano, in Venezuela per la protezione delle donne, in Birmania dove c’è stato il terribile terremoto, e poi ci sono le altre Case del Sorriso, da Haiti, all’India. Ma anche in Italia, dove ci occupiamo di povertà minorile, come a Napoli, a Bari, Siracusa e Milano».

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