Per un istante l’Italia è apparsa quasi un paese normale, capace di silenziare i tamburi della campagna elettorale (quanta caciara per queste benedette Marche…). È stato quando Guido Crosetto è intervenuto ieri alla Camera sulla Flotilla. Diciamocelo: tecnicamente perfetto. Per posizione assunta, perché un grande paese ha il dovere di garantire la “sicurezza” dei propri connazionali, anche se la loro azione confligge con le proprie idee politiche. Per il come: senza tentennamenti, in relazione a criteri di opportunità politica. Per il tempismo: ha mandato la fregata prima ancora del governo spagnolo, il più severo su Netanyahu. Insomma: per responsabilità, parola drammaticamente demodé e assai in lite col tempo che ci è dato di vivere.
Flotilla, Meloni: “Missione irresponsabile, vogliono creare problemi al governo”

Molto più in sintonia con la moda del momento, invece, sia Giorgia Meloni che Elly Schlein: la prima, all’opposto di Crosetto, nel suo comizio newyorkese, intestandosela, ha messo a rischio la trattativa bipartisan (riservata) per lo sbarco degli aiuti a Cipro facendo così impazzire la maionese. E, a differenza del suo ministro, non ha stigmatizzato gli attacchi “ingiustificabili” di Netanyahu, ma “l’irresponsabilità” dei membri della Flotilla.
Flotilla, Crosetto: “Nessuno può garantire sicurezza fuori dalle acque internazionali”

La segretaria del Pd, a specchio, ha inveito contro la premier. Mica se l’è giocata sulla responsabilità e sulle altrui contraddizioni. Sostanzialmente ha chiesto che la Marina Militare italiana accompagni la nave umanitaria anche nella violazione del blocco navale. Gaza o morte, linea ardita, quasi marinettiana: il primato assoluto della testimonianza sulla politica, intesa come obiettivo commisurato al contesto.
Flotilla, Schlein: “Meloni esca dalla megalomania, sono tre anni che fa la vittima”

Ecco, il contesto. È del tutto evidente che il tema non è se quelle acque verso cui spingersi siano israeliane o palestinesi, oppure se quel blocco sia legittimo o meno. Il tema, e torniamo a Crosetto, è che oltre le acque internazionali c’è un rischio estremo. La memoria va a quanto accaduto il 31 maggio del 2010 quando la Flotilla quel blocco lo forzò. Esito: dieci morti. Qualche giorno prima period stato recapitato un messaggio analogo a quello messo agli atti ieri dal ministro degli Esteri israeliano: Israele non permetterà la violazione del blocco navale.
Ma nel messaggio di ieri di Gideon Sa’ar c’è anche un altro significativo passaggio: sì agli aiuti, da scaricare a Cipro per poi trasferirli a Gaza. Proprio questa dichiarazione configura la possibile trattativa in atto come un successo e non come una resa. Perché sancisce il raggiungimento dei due obiettivi insiti nella missione degli attivisti della Flotilla.
Il primo: la legittimazione del suo ruolo umanitario facendo arrivare, attraverso un canale affidabile come quello dei vescovi, gli aiuti al popolo martoriato di Gaza.
Il secondo: la legittimazione politica. Gli attivisti hanno mobilitato l’opinione pubblica su una causa, hanno costretto il governo a non girarsi dall’altra parte, lo stesso governo israeliano accetta gli aiuti attraverso una by way of terza (la Cei). Così è una vittoria, anche della sinistra. E della ragione. Oltre è una avventura. Pericolosa.
