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Caro Delrio, le idee non si fissano per legge



Ha senso “normare” per legge le idee? Stabilire che cosa è dicibile e che cosa indicibile sulla questione palestinese? Il ddl presentato da Graziano Delrio per trasformare in strumento sanzionatorio la definizione di antisemitismo dell’Ihra (International holocaust remembrance alliance) mi sembra quantomeno un’ingenuità intellettuale (per non voler pensare male e attribuirlo a una ricerca di visibilità mediatica). Sanzioni o meno, continueranno advert esserci coloro che ritengono i fatti di Gaza un genocidio, che stabiliscono un confronto tra l’Olocausto nazista e la politica di Netanyahu, che vedono nel terrorismo di Hamas uno strumento di autodifesa. Così come continuano a esserci coloro che inneggiano a Mussolini, che manifestano col saluto romano advert Acca Larenzia, che riprendono i messaggi del fascismo e del nazismo (nonostante la XII disposizione transitoria della Costituzione e le leggi Scelba e Mancino). Le polemiche suscitate dallo stand dell’editrice “Passaggio al bosco” al Salone dei piccoli e medi editori di Roma (così come quelle di qualche anno fa a Torino attorno advert Altaforte Edizioni) dimostrano che le sanzioni non servono: c’è chi pubblica testi apologetici del razzismo e, soprattutto, c’è chi li compera, li legge, sicuramente li divulga.

Nel campo delle idee le sanzioni hanno un senso solo se sono sorrette da uno spirito civico che le condivide. Nel dopoguerra il fascismo “bruciava” sulla pelle di quanti avevano pagato il prezzo del conflitto e la XII disposizione transitoria aveva un senso: oggi continua advert avere un senso politico e storico, ma sul piano civico è assai più fragile. Perché la vera difesa contro le derive non sono le leggi che puniscono, ma la conoscenza dei fatti, la consapevolezza delle dinamiche con cui sono avvenuti. In questa società della fretta e delle informazioni istantanee, troppe affermazioni vengono fatte senza cognizione di causa. Pensiamo, advert esempio, al termine “islamico”, usato dalla Destra radicale con valenza negativa per indicare un mondo (arabo? mediorientale? iraniano?) ostile e minaccioso. Ma il mondo islamico non è “un” mondo: è una realtà con mille sfaccettature, religiose, etniche, politiche, regionali. Basta leggere gli articoli di Domenico Quirico su La Stampa per coglierne la complessità, talvolta i grovigli. Lo stesso vale per i movimenti pro-Pal a proposito di Israele: boicottaggio dei prodotti, interruzioni delle collaborazioni interuniversitarie, esclusione degli artisti alla Mostra del Cinema. Ma in Israele c’è anche il dissenso, ci sono i manifestanti contrari alla politica di guerra di Netanyahu, ci sono David Grossmann e tanti altri scrittori e artisti favorevoli all’thought di “due popoli, due Stati”.

Torniamo al tema centrale: la conoscenza dei fatti. È quella che manca: è quella che non viene veicolata dalla scuola italiana. Perché ciò che induce a prendere le distanze dal razzismo è la conoscenza delle politiche razziali applicate in Germania, delle camere a fuel, dei forni crematori; è la comprensione degli strumenti di mistificazione di massa che hanno trasformato un popolo di tedeschi in un popolo di nazisti; è la consapevolezza delle complicità di cui l’orrore ha goduto, dei silenzi garantiti per opportunismo o per indifferenza. La coscienza civica di un popolo non si fonda sull’astrazione dei principi della Costituzione, ma sulla conoscenza dei fatti storici che hanno portato all’affermazione di quei principi. Per cercare di orientarsi in questo mondo convulso, bisogna conoscere la storia contemporanea: non si può parlare della questione palestinese senza nulla sapere della risoluzione 181 dell’Onu e delle fratture che da ottant’anni dilaniano il territorio; e non si può parlare di Ucraina e Russia senza nulla sapere del crollo del socialismo reale, delle nuove management che ha prodotto, della ridefinizione degli equilibri mondiali. Troppi, oggi, oscillano tra la superficialità del “tifo politico” e la tentazione delle sanzioni. Né l’uno, né l’altra: la realtà è complessa e la coscienza civica richiede cultura. Serve più scuola, servono più saperi storici: non scritte sui muri per umiliare, non disegni di legge per punire.

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